29 luglio, 2013

Anche i criminali usano la fiducia

Auch Verbrecher brauchen Vertrauen

di Patrick Illinger
Pubblicato in Germania il 10 luglio 2013
Traduzione di Claudia Marruccelli

Collaborazione fidata - non è facile nemmeno nei normali rapporti d’affari. Ma come funziona tra i criminali? Il sociologo Diego Gambetta ha condotto uno studio.



Per 30 anni, un certo Bernardo Provenzano, più conosciuto dalla gente del posto come "u tratturi" - il trattore - , ha vissuto lontano dalla vita pubblica. Ma nel 1992, è successo qualcosa di sorprendente. La famiglia del mafioso siciliano, successivamente divenuto capo di Cosa Nostra, è uscita dalla clandestinità trasferendosi, sotto gli occhi di tutti, nella città natale di Provenzano, Corleone, dove ha iniziato una vita apparentemente normale. Che cosa era accaduto? I familiari di Provenzano avevano rinunciato a tutti i legami con la mafia, per godere finalmente di una pacifica esistenza? O la famiglia ha perso la testa consegnandosi completamente indifesa nelle mani dei clan rivali? Né l’uno né l’altro, dice il sociologo italiano Diego Gambetta, che da anni studia le relazioni tra i criminali. Secondo lui la famiglia di Provenzano è servita come una sorta di garanzia: ecco qui, amici mafiosi, Bernie il trattore non vi tradirà. A garanzia avete la famiglia, dato che ora sapete dove vive.
Secondo Gambetta questa mossa per creare fiducia fu tanto infida quanto efficace. La fiducia tra menti criminali, un argomento complesso sul quale Gambetta, attualmente ricercatore universitario a Oxford, ha riferito lunedì sera alla Fondazione Carl Friedrich von Siemens di Monaco di Baviera.  Con fascino italiano e humor britannico Gambetta ha guidato il pubblico in un viaggio attraverso la sociologia del crimine. L'argomento è stato già affrontato da Socrate secondo cui, anche in una banda di rapinatori e ladri, ci deve essere una sorta di giustizia che tenga uniti i membri nello svolgimento delle attività comuni.  "Come fanno i criminali a fidarsi gli uni degli altri, quali strategie adottano?" chiede Gambetta. Dopo tutto, si tratta di un bene non tangibile, soprattutto se coloro che sono coinvolti sono criminali e non è possibile rivolgersi alla polizia per risolvere le proprie controversie.

La risposta ci conduce innanzitutto nell’ambito della materia del comportamento in cui gli scienziati sondano quei meccanismi che provocano la collaborazione, quel fenomeno per il quale le persone rinunciano a vantaggi nell’immediato per conseguire, per mezzo di un agire comune, un beneficio finale maggiore. In molti esperimenti di laboratorio è stato dimostrato che questo è difficile persino tra persone normali.
Ma senza cooperazione, che si basa di nuovo sulla fiducia, non può funzionare nemmeno nel mondo della malavita, pensa Gambetta: i trafficanti di droga hanno bisogno di produttori e acquirenti, i ladri hanno bisogno di ricettatori, e persino i terroristi hanno bisogno di una rete di conoscenze.
Si può imporre con la violenza o con le intimidazioni, come si è visto in innumerevoli film di gangster. Qui la sociologia del crimine diventa una sorta di meccanica newtoniana: una pressione produce una controspinta, una specie di equilibrio del terrore.
Ma se la violenza è legata a costi e spese, anche il rischio di un’escalation di vendette è grande, come dimostrato in maniera grottesca nelle guerre per la droga che avvengono in Messico.
Pertanto i criminali di successo preferiscono, a meno che non si tratti di psicopatici, meccanismi più efficaci. Così nel parallelogramma delle forze della sociologia del crimine gli ostaggi hanno un ruolo, proprio come nel tardo Medioevo, in cui erano in cui erano addittura usati come oggetto di scambio tra Stati. Se la collaborazione tra i cartelli colombiani della droga e la mafia dovesse consolidarsi intere famiglie emigrerebbero dall’Italia a Medellin, afferma Gambetta.
In generale, la frequenza dei conflitti violenti fra i criminali viene sopravvalutata, avverte: in Sicilia, il tasso complessivo di omicidi è inferiore rispetto a molte altre regioni. Il successo della mafia siciliana risiede tra l’altro nella sua capacità di agire come una sorta di protogoverno che vigila sulle trasgressioni nel rapporto di fiducia, punendole.

Gambetta è in grado di riferire fatti sorprendenti sulla mentalità dei mafiosi avendo egli stesso condotto ricerche per un anno in Palermo. Molti boss sono apparentemente persone modeste, che vanno in giro vestite come contadini col vestito della domenica, consapevoli dei propri limiti di conoscenze, ad esempio in termini di moderna economia aziendale. Anche le biforcazioni nelle attività, conseguenza ad esempio di appalti pubblici pilotati, sarebbero meno elevate di quel che spesso si ritiene, normalmente dal 3 al 5 per cento del totale delle commesse.
Ma nel momento in cui vedono messo in forse il loro potenziale di minaccia, lorsignori non stanno più allo scherzo. Gambetta racconta di un collega canadese al quale furono messi in macchina gli abiti freschi di lavanderia con su un biglietto che riportava la scritta “buon viaggio”. Un messaggio del tutto inequivocabile.
Talvolta scaturiscono forme stabili di cooperazione criminale, anche come sistema che si autoprotegge. Questo è in particolare il caso di opportunità di mercato a lungo termine in cui a tutti i complici è chiaro che anche una sola deroga alla consuetudine significherebbe la disgregazione dell’intero modello affaristico. E così in Bangladesh esiste, racconta Gambetta, una rete di 10.000 ladri e scassinatori i cui informatori partecipano ai saccheggi percependo laute percentuali.

Soggiorno in carcere come referenze

Una lotteria illegale organizzata dalla Camorra è strutturata allo stesso modo: le vincite sono pagate puntualmente per preservare la buona reputazione. Una mentalità simile è riscontrabile anche in ambienti accademici, avverte Gambetta: è prassi consolidata nelle Università italiane che i docenti promuovano gli studenti di altri professori con la legittima aspettativa che i propri studenti vengano trattati allo stesso modo dai propri colleghi. Questo permanente sistema di continui favori reciproci viene mantenuto in essere anche dai docenti che li sostituiranno.
Ma questo tipo di cooperazione poggia su un terreno molto friabile. Se una delle persone coinvolte mette un piede in fallo, le figure che operano nel campo penale devono guardare dall’altra parte e la questione può finire nel nulla. Fondamentalmente, i criminali apprezzano la prova tangibile della fiducia. A questo scopo per esempio è prassi comune che i mafiosi alle prime armi partecipino precocemente ai crimini. "Per un omicidio la mafia impiega sempre molte più persone del necessario", osserva Gambetta. Il motivo è semplice: è più difficile che i complici compaiano come informatori dinanzi alle forze dell’ordine.
Ma nel mondo della criminalità la dimostrazione di gran lunga più apprezzata di essere meritevoli di fiducia è una detenzione in carcere, in fondo è improbabile che un informatore sotto copertura si faccia metter dentro per anni. Chi esce di galera ha, quindi, le migliori referenze.
Funzionava così anche nella Germania degli anni Trenta, dice Gambetta. Allora esistevano i cosiddetti “Ringverein” (circoli criminali), con il suggestivo nome di "Immertreu" (Fedele per sempre) che, se esternamente sembravanbo associazioni di sostegno ad ex detenuti, nella realtà si davano al crimine organizzato e che, diversamente da quanto affermava la propaganda nazista, non furono smantellate totalmente nemmeno sotto il Terzo Reich. Gambetta parla con molta chiarezza di un paradosso che colpisce: è proprio lo Stato con il suo sistema carcerario a costituire, per i criminali, la principale istituzione che infonde fiducia.



26 luglio, 2013

Industria del legno svizzera guarda all'Italia

Bündner Holzbranche blickt nach Italien


di Peter Jankovsky
Pubblicato in Svizzera il 23 luglio 2013
Traduzione di Claudia Marruccelli


Lavorazione del legno a tecnologia avanzata: a Puschlav sta per nascere un centro di formazione che presenta molti punti in comune con l’Italia. Industria del legname del cantone dei Grigioni spera in tal modo in una migliore apertura verso il mercato del Nord Italia.




L’industria delle costruzioni in legno sembra stia vivendo un momento d’oro. Non solo vengono prodotte sempre più case singole, ma crescono anche i grandi complessi residenziali, capannoni industriali e edifici pubblici, che vengono costruiti in gran parte in legno. «Siamo molto avanti nei Grigioni, quando si tratta di strutture innovative in legno», dice Michael Gabathuler, Managing Director della Graubünden Holz, l'organizzazione a cui fanno capo tutte le associazioni che si occupano di industria del legno dei Grigioni, aziende e istituzioni. Il legno in questo cantone di montagna è il pane quotidiano: il Canton dei Grigioni in Svizzera è la regione con la maggior parte di area boschiva, di fatto il 28 per cento della regione cantonale. Il mercato richiede sempre più legno - ma proprio nella «Holzland» dei Grigioni mancano strutture specializzate nella lavorazione. Così, per esempio solo 10 per cento dei tronchi abbattuti nel cantone è stato lavorato in loco nel 2011, dopo che nel dicembre 2010 la grande segheria a Domat/Ems, era fallita. Inoltre, i fornitori esteri attirano i costruttori legno locali con prezzi più bassi dal 20 al 30%. Pertanto, «l’industria del legno dei Grigioni dovrebbe essere più concorrenziale», dice Gabathuler.

Serve più innovazione

La Graubünde Holz ha sviluppato una strategia in proposito: maggiore competitività e valore aggiunto possono essere ottenuti solo se tutti i protagonisti locali del settore forestale e del legno sviluppano un partenariato coerente. Qui anche il trasferimento di conoscenze e la tecnologia svolgono un ruolo importante, perché solo in questo modo si può migliorare il potenziale di innovazione dell'industria del legno.
E’ esattamente qui che poggia il progetto del centro di formazione per la lavorazione del legno nella valle di Puschlav. Questa regione del Canton dei Grigioni di lingua italiana è conosciuta all’estero più come valle degli orsi e dell’industria idroelettrica. L’attuale podestà di Puschlav, il mastro falegname Alessandro della Vedova (cvp.), l'idea di un centro bilingue per la formazione di professionisti nel settore del legname, è stata lanciata quattro anni fa, dice Della Vedova, dal deputato liberale Karl Heiz. Secondo le sue parole, l'intera faccenda ha ricevuto un impulso dopo lo scetticismo iniziale quando l’istituto tecnico per l’industria del legno nel sud-est Svizzera (IBW) assunse la gestione del progetto.
Il progetto del centro di formazione che pone l'attenzione sulla lavorazione del legno con le più recenti tecnologie, è stato velocizzato nel quadro della nuova politica regionale. Nel marzo 2012 è stata fondata la Spa Centro Tecnologíco del Legno SA; a questa si è affiancata la IBW della provincia di Sondrio, la rRgione Lombardia, così come il gruppo SCM, un produttore attivo a livello internazionale di macchine per la lavorazione del legno con sede a Rimini. Il centro dovrebbe aprire aprire le porte alla fine dell’ estate 2014 poco distante dalla stazione ferroviaria di Poschiavo.
«Un centro di eccellenza, come quello previsto nella valle di Puschlav, ancora non esiste in Svizzera, per quello che ne sappiamo», sostiene orgoglioso Paolo Giorgetta dell'Ufficio cantonale per gli affari economici. Secondo Giorgetta, la cooperazione transfrontaliera potrebbe creare da entrambi in confini un’eccedenza economica di valore aggiunto. Infatti, la formazione professionale saranno le esportazioni, spiega IBW direttore Stefan Eccleshall. La motivazione del partner italiano si basa su che il paese ha avuto il non funzionamento, il sistema di formazione orientato alla pratica. Pertanto, sempre più altamente qualificati professionisti erano mancanti della società.

Così anche il lato italiano forte dovrebbe finanziare il centro, i costi di start-up sono media stimata sui 3,7 milioni di franchi svizzeri e il totale di 18 milioni di franchi svizzeri, secondo i cantone dei Grigioni. Ma il SVP Poschiavo aveva forti riserve circa il "progetto rischi inutili", che ha preso con successo il referendum contro il principale contributo di 650 franchi da parte del comune di Poschiavo. Il 9 giugno gli elettori hanno annullato ma chiaramente. Secondo Fulvio Betti, Presidente della SVP Val Poschiavo, l'onere finanziario tra la Svizzera e i partner pubblici italiani è distribuito diversamente. Anche se più della metà degli studenti italiani sarà secondo Betti le autorità italiane non per investimento a contribuire, ma sono limitati ai contributi per le tasse, che non sono più alti per i cittadini. Betti il know-how svizzero chiamato la «vendita».
Mobili in legno esportazione preoccupazioni SVP di lasciare Michael g di legno freddo Grigioni Poschiavo. Mentre Bettis prospettiva grandi aree industriali avrà ulteriormente le dichiarazioni nell'industria del legname e Grigioni sviluppato appena per un europeo "centro legno», l'industria del legno nazionale secondo g può benissimo beneficiare la cooperazione transfrontaliera. Perché la loro rete è diffondere massicciamente su nuovi mercati potenziali nel nord Italia. G ricordare ad esempio i mobili di divisione.
Nord Italia è noto per il buon prodotto design e i cantone dei Grigioni per mestiere. Questi reparti potrebbero essere fusa con il centro di Poschiavo che verrebbe a crearsi nuovi sbocchi per i mobili da Grigioni. -L'industria del legno Bündner looks so via Puschlav speriamo che dopo l'Italia.

16 luglio, 2013

Ponte per l’Europa ovvero porta per l’inferno

Brücke nach Europa, Tor zur Hölle





di Doris Schleich
Pubblicato in Germania l'8 luglio 2013
Traduzione di Claudia Marruccelli
L'isola di Lampedusa si trova più vicino all'Africa che alle coste italiane: ogni anno migliaia di profughi osano sfidare il mare approdandovi a bordo di imbarcazioni stracariche e ogni anno circa 1.500 di loro pagano con la vita questo tentativo.

Le notizie di solito svaniscono tra le righe dei titoli dei quotidiani: “Centinaia di profughi sono sbarcati sull'isola italiana di Lampedusa. Dopo un'odissea di più giorni in mare aperto, molte persone mancano ancora all’appello.” Papa Francesco ha enfatizzato questi messaggi nel suo viaggio a Lampedusa. Alla fine di giugno sono morti annegati almeno sette giovani africani nella traversata verso l'Europa - avevano cercato di raggiungere la terra promessa sulla scia di una barca da pesca aggrappati alle gabbie di allevamento dei tonni.

Isola sovraffollata: dove li mettiamo i morti?

La piccola isola di Lampedusa - 200 chilometri a sud della Sicilia, ma distante solo la metà dalla costa tunisina - è abitata da circa 6.000 italiani. Nel campo profughi locale sono arrivati a vivere insieme quasi lo stesso numero di persone - e questo, anche se il campo può ospitare ufficialmente solo circa 850 persone. Soprattutto durante la primavera araba in Tunisia e la guerra civile in Libia approdavano quotidianamente barche sovraffollate. Non tutti sono riusciti a sopravvivere al viaggio. Il cimitero di Lampedusa è da tempo troppo piccolo per tutti i profughi morti.
"Sono il nuovo sindaco di Lampedusa. Sono stata eletta nel maggio 2012 e fino al 3 novembre abbiano recuperato 21 cadaveri di persone che sono annegate nel tentativo di raggiungere Lampedusa” ha dichiarato Giusi Nicolini, riguardo la situazione sull'isola.

Le "Boat People" sono scomode: l’Europa si gira dall’altra parte

Estate 2009: una barca con 82 profughi vaga da 23 giorni nel Mediterraneo. Gergishu Yohannes bianco: suo fratello è a bordo. Ma le autorità italiane e maltesi non fanno nulla per salvare quella gente. I profughi che arrivano dal mare provenienti dall'Africa non sono i benvenuti in Europa. Andare in soccorso di una delle molte barche in pericolo, evidentemente non è del tutto scontato. Sempre più, accade che navi passano davanti a cadaveri di persone talvolta morte in mare per annegamento, o che le autorità si scarichino l’un l’altra le proprie reponsabilità. Durante la guerra civile in Libia, la guardia costiera italiana a volte raccoglieva i profughi per poi rimetterli in rotta verso le coste africane. Una pratica che comunque l’Alta Corte Europea per i Diritti dell’Uomo di Strasburgo ha vietato l’anno scorso.

Nodo della discussione con Dublino II: i controversi accordi per i rifugiati

Il governo italiano ha cercato nel corso degli anni di disinnescare la situazione a Lampedusa. Molti profughi del sovraffollato centro di accoglienza dell'isola furono trasportati in altre parti del paese. Ma il problema si è soltanto spostato.

Dublino II: contro lo “shopping dell’asilo"

Dietro il “Regolamento Dublino II”, c’è il timore che i richiedenti asilo possano viaggiare in lungo e largo attraverso l'Europa, fino a quando non hanno trovato uno stato con una normativa di concessione asilo più elastica. Nel 2003, i ministri dell'interno dell'UE hanno pertanto siglato l’attuale convenzione di Dublino del 1990. Da allora, la responsabilità di accogliere un rifugiato non è più di un Paese qualsiasi dell'UE, ma del Paese in cui è entrato per primo. Per ragioni geografiche Italia, Spagna e Grecia sono le più esposte. Un rifugiato che si registra presso le autorità di un altro Paese europeo, ad esempio, per trovare lavoro, può essere respinto senza ulteriore esame nel suo "Paese di origine".
Chi riceve asilo in Italia, ottiene certamente un permesso di lavoro - ma solo pochi riescono anche a ottenere un alloggio. Senza alloggio, però non si trova lavoro - un circolo vizioso. I rifugiati riconosciuti possono viaggiare in altri Paesi europei. Ma le autorità locali devono riesaminare le loro richieste di asilo e possono rispedirli indietro in Italia, dove sono stati registrati per la prima volta come richiedenti asilo. Da anni Italia, Spagna e Grecia criticano il regolamento, dal momento che così rimangono i soli responsabili per la stragrande maggioranza dei profughi africani.



Minacce al ministro Kyenge,

Wenn ich Angst hätte, müssten alle Angst haben

di Constanze Reuscher
Pubblicato in Germania il 21 giugno 2013
Traduzione di Claudia Marruccelli



“L’Italia non è il Paese del razzismo”, ribadisce Cécile Kyenge instancabile. A tal proposito ha fatto scalpore la minaccia di morte, “Uccidetela!”, apparsa qualche giorno fa su un social network. L’oculista di Castelfranco, cittadina dell’Emilia-Romagna, ricopre da due mesi l’incarico di ministro per l’integrazione del governo guidato da Enrico Letta. Eppure in Italia c’è addirittura a chi dà fastidio questo: la pelle di Cécile Kyenge è scura, il ministro inoltre è nato 48 anni fa nella Repubblica Democratica del Congo, non nella sua nuova patria italiana. “Torna in Congo”, così hanno scritto sui muri i sostenitori di Forza Nuova, partito di estrema destra. Una leghista di Padova ha chiesto su Internet: “Perché nessuno la stupra?”

“Rispondo con il linguaggio della pace”

La Kyenge arriva a piedi all’incontro passando per il centro storico di Roma, questo sembra rendere nervosi solamente i suoi collaboratori. “Non ho paura, questa è la mia forza!” Al linguaggio della violenza rispondo con il mio linguaggio della pace”, dice come incurante dalla tempesta che si è scatenata attorno a lei. “Se io avessi paura, allora dovrebbero avere tutti paura”. Si sbarazza anche della domanda sulla presenza di molte guardie del corpo con lei: “E’ una regola generale, è previsto per ogni ministro”. La Kyenge è la prima politica italiana che si definisce “Ministra”; “è una decisione personale, non è da tutti in Italia”, dice. Tuttavia dietro la sua bassa statura e quel sorriso da ragazzina, quasi timido, si nasconde una Lady di ferro quando si parla dei suoi obiettivi politici. La riforma della cittadinanza italiana è quello che le sta più a cuore. La Kyenge vuole introdurre lo Ius Soli, quel principio secondo il quale ogni cittadino nato sul suolo italiano ha diritto alla cittadinanza.

La gran parte degli immigrati viene dalla Romania

“E’ importante soprattutto per i giovani. La scuola è il luogo di prima integrazione, eppure spesso i figli di immigrati sono esclusi dalle gite di classe perché la burocrazia è lenta”, spiega. La ministra si auspica una nuova cultura dell’integrazione: un nuovo concetto di cittadinanza tale per cui tutti, italiani e immigrati “riconoscano e rispettino i propri diritti e doveri. Dove le differenze non siano un problema, ma una ricchezza”. Questa è la situazione: in Italia oggi, dei 60 milioni di abitanti, 4,5 milioni sono stranieri con regolare permesso di soggiorno. I principali gruppi di immigrati sono rumeni, albanesi e marocchini. Dei 750.000 studenti figli di immigrati, la metà è nata sul suolo italiano. Eppure, società multiculturale oppure Ius Soli sembrano obiettivi lontani quasi irraggiungibili in un Paese dal quale ancora si emigrava fino a qualche anno fa.

Berlusconi definì Obama “Giovane, bello e abbronzato”

Un Paese dove l’immigrazione di massa e il fenomeno dei lavoratori stranieri sono presenti da appena vent’anni e dove l’integrazione è ancora un concetto incerto. Dove in una conferenza stampa pubblica di livello internazionale, l’ex capo del governo Silvio Berlusconi ancora pochi anni fa definiva il neoeletto Presidente degli Stati Uniti Barack Obama “bello giovane e abbronzato”. Amnesty International ha definito “preoccupante” la legge sull’immigrazione, che prevedeva l’espulsione e non integrazione e assistenza, imposta nel 2002 dal nazionalconservatore Gianfranco Fini e dal leader della Lega Nord Umberto Bossi, all’epoca entrambi ministri del governo Berlusconi. Il presidente del Parlamento Europeo Martin Schultz definì il governo Berlusconi “razzista”. L’organizzazione per i diritti umani Human Right Watch ammonì il dibattito politico italiani definendolo “polemico e ostile agli stranieri”. L’odio nei confronti degli stranieri è stato esportato dai tifosi della Lazio, quando nel 2007 l’attaccante del Werder Brema Boubacar Sanogo è stato insultato a suon di grida di scimmia nello WeserStadion. Il razzismo nel calcio italiano trova terreno terribilmente fertile.

Gli spettatori insultano i calciatori di colore.

Nel 2005 il capitano della Lazio Paolo di Canio aveva ringraziato i suoi fans dopo la vittoria del derby contro la Roma con il “saluto romano”, una sorta di saluto di Hitler, mandando in delirio i tifosi. Il calciatore della nazionale Mario Balotelli, ma recentemente anche il giocatore del Milan Kevin-Prince Boateng, subiscono regolarmente cori razzisti. Non senza reazioni da parte di Boateng che è arrivato ad abbandonare il terreno di gioco per protesta durante una partita. In questi giorni un gruppo di africani sono rimasti intrappolati, durante la traversata del Mediterraneo, aggrappati ad una rete da pesca; almeno sette persone sono morte. Anche il soccorso in mare previsto dalla Legge Bossi-Fini non viene più garantito.

Gli africani vengono trattati come schiavi.

Per il centro di accoglienza di Lampedusa, tra Sicilia e Tunisia risulta difficile lasciar cadere nel vuoto il grido di un campo profughi. Nell’agricoltura del Sud Italia, soprattutto per la raccolta estiva dei pomodori, i lavoratori africani vengono trattati come schiavi. Sinti e Rom in Italia sono odiati come in nessun’altro Paese europeo. Il Premier Enrico Letta ha trasformato il Ministero per l’Integrazione, compreso in precedenza nel Ministero per la cooperazione internazionale, in un ministero con una propria responsabilità e sfera di competenza. La Kyenge, impegnata politicamente nell’ambito dell’integrazione in Emilia-Romagna con il Partito Democratico, è diventata così ministra. Prontamente l’europarlamentare della Lega, Matteo Salvini, ha dichiarato: “Solo in Italia può esserci un ministro entrato illegalmente nel Paese”. In realtà il mancato permesso di soggiorno della ministra appena giunta in Italia era un errore della burocrazia italiana. La Kyenge è arrivata dal Congo come studentessa; è cresciuta nella provincia del Katanga con il padre capotribù e 38 fratelli e sorelle.

Kyenge porge la mano ai suoi avversari

Grazie ad una borsa di studio ha potuto trasferirsi a Roma; lì tuttavia non si riuscivano a trovare i documenti necessari – la Kyenge era quindi “clandestina”. Accolta in una missione cattolica in Emilia-Romagna, se l’è cavata come badante, ha sostenuto tutti gli esami ed è diventata medico. Si è sposata, è diventata italiana e ha due figli. Nonostante le critiche e le polemiche la Kyenge vuole porgere la mano ai suoi avversari politici. Il nuovo governo, una grande coalizione, sente il ruolo della neo-ministra come una “chance per superare le differenze, come in un Suq”. Un primo obiettivo lo ha raggiunto. Il leader della Lega Nord, Roberto Maroni, ha dichiarato: “Nel dibattito sulla cittadinanza Ius soli non possono esserci tabù!” Forse perché la ministra ha una ricetta semplice per il superamento delle discriminazioni: “Si trova nella nostra Costituzione. Dobbiamo solo metterla in pratica”.

La Mafia nel piatto

Italien protestiert gegen "Mafia-Speisen" in Wien


Pubblicato in Austria l'8 giugno 2013
Traduzione di Claudia Marruccelli




L’ambasciata italiana a Vienna ha presentato le sue rimostranze contro il locale viennese “Don Panino”, che propone portate e panini dedicati a diversi mafiosi ed eroi antimafia. Su disposizione del Ministro per gli Affari Esteri Emma Bonino, Sergio Pagano, un incaricato dell’ambasciata italiana a Vienna, in una lettera alle autorità austriache, sottolinea che l’utilizzo dei nomi delle vittime della mafia per scopi di marketing, non solo è “sgradevole, ma anche offensivo” nei confronti di tutte quelle persone che si impegnano quotidianamente nella lotta contro la mafia. Osservazioni ironiche rivolte a vittime illustri nella lotta a Cosa Nostra, come il procuratore Giovanni Falcone e l’attivista antimafia Peppino Impastato, sono inaccettabili e hanno sollevato “forti reazioni negative” nell’opinione pubblica italiana, così come nella comunità italiana di Vienna, ha riferito il Ministero degli Affari Esteri a Roma.

Raccolta firme

La pagina FaceBook “Italiani a Vienna” ha recentemente lanciato una petizione che ha raccolto finora 968 firme, in cui si fa richiesta al locale di modificare i nomi delle portate del suo menu. L’ideatore della campagna, Paolo Federico che vive a Vienna, ha chiesto maggior rispetto per le vittime della mafia. Secondo l’ANSA Federico ha sottolineato che “Non si può usare la mafia per scopi di marketing”, aggiungendo che a Vienna ultimamente sono state inaugurate diverse pizzerie dai nomi che fanno esplicito riferimento alla mafia, tipo “Mafiosi”, “Camorra” e “Al Capone”. “Ci auguriamo che altri geniali imprenditori italiani o austriaci riflettano e agiscano diversamente. Dobbiamo evitare che il concetto di mafia venga utilizzato come marchio e come pubblicità”, così ha dichiarato Federico. L’emittente radiofonica siciliana fondata da Impastato “100 Passi”, che porta avanti impegnative campagne antimafia, ha lanciato una petizione indirizzata al Ministero degli Affari Esteri contro “Don Panino”, 7.300 firme raccolte negli ultimi giorni sulla pagina Web “change.org”. Numerosi commercianti, vittime di estorsione in Sicilia, hanno firmato la petizione. “Un posto così dovrebbe chiudere immediatamente,” ha protestato Nicoletta Scimeca, membro di un’associazione di commercianti impegnati nella lotta contro alla mafia.