30 aprile, 2012

Dalle famiglie italiane si pretende troppo

Italiens überforderte Familien

Ridotta fertilità e situazione occupazionale sono motivo di preoccupazione. In Italia, il tasso di fertilità femminile è sceso in maniera preoccupante. Le italiane, penalizzate dalla politica e dai mariti, riescono con difficoltà a conciliare lavoro e figli.

di Nikos Tzermias 

Pubblicato in Svizzera il 18/04/2012
Traduzione di Claudia Marruccelli per Italia Dall'Estero e Il Fatto Quotidiano
Pubblicata anche su Reset Radio



Mamma mia! In quasi nessun altro paese come in Italia gli uomini chiamano tutti i giorni la mamma per raccontarle quello che capita loro di bello o di brutto. La mamma, i figli e la famiglia, per secoli sono stati il fondamento della società italiana, in passato dominata continuamente da potenze straniere. La famiglia è stata “una fortezza in un paese ostile”, ha scritto lo scrittore Luigi Barzini nel suo bestseller The Italians, riferendosi al fatto che le donne sono la spina dorsale della famiglia e senza di loro l’Italia crollerebbe come un castello di carte.Tuttavia nel corso dei secoli le donne italiane avrebbero dovuto anche imparare a trascurare i mariti, che senza le loro mogli non avrebbero concluso nulla.


Cambiamento molto difficile
Il libro di Barzini è stato pubblicato all’inizi degli anni ‘60, quando la famiglia italiana, di stampo cattolico, sembrava funzionare ancora bene e la Repubblica italiana viveva il miracolo economico. C’era un ottimismo generale diffuso. La gran parte delle casalinghe italiane ha avuto in media due o tre bambini. Il paese all’estero era per lo più noto per “La Dolce Vita”, anche se l’omonimo famoso film di Federico Fellini si poneva già in maniera critica nei confronti della società. L’Italia quindi ha subito un decisivo cambiamento sociale con un certo ritardo. Divorzio e aborto furono legalizzati nel 1974 e nel 1978, nonostante l’opposizione del Vaticano. Il numero dei matrimoni è diminuito e quello delle separazioni aumentato, anche se non in modo evidente come negli altri paesi industrializzati. Il tasso di natalità è iniziato a calare negli anni ’70 e anche in Italia i nuclei familiari sono andati via via diminuendo.
L’Italia quindi segue la tendenza generale? Niente affatto. Il tasso di fertilità in questo paese, anche se il più alto della maggior parte degli altri paesi industrializzati, è diminuito. Dal 1970 al 1995 è sceso da 2,43 figli per donna a 1,19. Da allora, il numero è lievemente salito stabilizzandosi a circa 1,4. Questo però principalmente grazie al tasso di natalità molto più alto tra gli immigrati. Ma anche così la percentuale di fertilità in Italia rimane una delle più basse nei paesi industrializzati ed è ancora nettamente inferiore rispetto al cosiddetto livello di ricambio di 2,1 figli per donna
Merita attenzione il forte crollo delle nascite, ma soprattutto perché solo il 48% delle donne italiane ha un lavoro rispetto ad un tasso medio del 59% in tutta l’area OCSE. La docente di economia Daniela Del Boca, di Torino, ricorda inoltre che negli ultimi 15 anni il tasso di occupazione  per le donne nei paesi dell’OCSE è aumentato  mentre in Italia è rimasto per lo più invariato.



Partorire solo dopo i trent’anni
Così, nel caso dell’Italia, la percentuale di occupazione femminile, di gran lunga molto minore che in altri paesi, è alla base della diminuzione del tasso dei fertilità. Ancor più che in alcuni paesi sviluppati come USA, Gran Bretagna, Francia, Svezia e altri paesi nordici, dove un tasso di fertilità in media molto più elevato, che raggiunge il livello di ricambio, è accompagnato da un tasso di occupazione femminile insolitamente elevato. Questi confronti dimostrano che le donne italiane sono soprattutto in difficoltà nel conciliare figli e carriera.
Certo alle giovani donne italiane piacerebbe avere almeno due bambini. Ma da giovani  sono occupate nell’assicurarsi la migliore formazione possibile e subito dopo impegnate nel tentativo di affermarsi sul mercato del lavoro. Sorprendente oggi è la percentuale di donne giovani (25 – 34 anni) in possesso di un diploma di laurea (24%) decisamente superiore a quella dei coetanei maschi (15%). In questo contesto le italiane in genere pensano seriamente ai figli solo dopo i 30 anni, cosa che però ha ridotto considerevolmente la possibiità di prole. La Del Boca, che dirige anche il centro di studi per l’infanzia di Torino, ricorda che un quarto delle donne che lavora, rinuncia alla nascita del primo figlio per il lavoro ed è costretto molte volte dai datori di lavoro che al momento dell’assunzione si fanno firmare illegalmente una lettera di dimissioni in bianco. Tra le donne che perdono il lavoro a causa di una maternità solo i due quinti riescono ad essere nuovamente riassunte.
Come la carriera e la maternità siano in Italia difficilmente compatibili è dimostrato anche da una delle statistiche OCSE pubblicate lo scorso anno, secondo le quali un quarto delle  italiane nate dopo il 1965 non ha figli, rispetto al 10% in Francia, 12% in Spagna, 15% in Svezia, il 16% negli Stati Uniti e il 20% in Germania.

Politica familiare arretrata
La docente di sociologia presso l’università di Torino, Chiara Saraceno, attribuisce anche la bassa fecondità e la mancanza di lavoro delle donne italiane ad un livello base di politica familiare che è ancora fermo agli anni ’50 e che ha portato ad un sovraccarico enorme che grava sulle famiglie di oggi. Sulla famiglia verrebbero scaricati tutti quei problemi che in molti altri paesi sono a carico dei servizi sociali pubblici.
La Saraceno e la Del Boca citano anche le ultime statistiche OCSE, stando alle quali il settore pubblico in Italia spende per famiglie con bambini solo l’1,4% del prodotto interno lordo, contro una media OCSE del 2,2%. Alle famiglie manca un sostanziale alleggerimento fiscale, anche se la bassa fertilità accelera l’invecchiamento della società e mette in pericolo le future pensioni. Entrambe contestano soprattutto la grande carenza di asili nido pubblici.
C’è posto solo per il 12% dei bambini sotto i tre anni, mentre il tasso in Francia e nei paesi nordici ha raggiunto il 30 – 40%. Allo stesso tempo nel paragone le aziende italiane raramente sono disponibili  ad andare incontro alle esigenze delle madri lavoratrici. Circa la metà dei neonati di madri che lavorano sono affidati ai nonni in Italia, secondo le statistiche Istat. Ma questo ha lo svantaggio di una  limitata mobilità economica.
Gli economisti Alberto Alesina (Harvard University) e Andrea Ichino (Università Commerciale Luigi Bocconi) criticano la Saraceno e la Del Boca che fanno troppo affidamento sullo stato e citano alcuni degli Stati Uniti dove la fertilità e l’occupazione femminile, nonostante gli scarsi servizi pubblici, sono elevate e le famiglie ricorrono in primo luogo all’assistenza privata grazie ad un reddito più alto. A prescindere completamente da questo, i due professori dubitano che ulteriori servizi pubblici possano risolvere il problema di base delle lavoratrici madri e che anche per i bambini possa essere la cosa migliore.
Alesina e Ichino individuano come ostacolo principale la separazione del lavoro tra i coniugi, assolutamente squilibrata in Italia, che, secondo numerosi studi, è l’unico paese occidentale industrializzato, dove le donne lavorano complessivamente, vale a dire in casa e fuori, molto più degli uomini, cioè in media 80 minuti in più al giorno. Le donne sono occupate nel lavoro domestico per 5 ore al giorno e quindi 3 ore in più rispetto ai loro mariti, dato che nella zona OCSE l’Italia è superata solo da Messico, Turchia e Portogallo.
Alesina e Ichino ritengono inoltre che dietro la richiesta di maggiori aiuti pubblici continui a nascondersi in fondo l’abitudine a pensare che siano innanzitutto le donne (in primo luogo) ad occuparsi dei bambini, degli anziani e della casa. Inoltre, in un paese economicamente sviluppato ci sono sempre meno lavori fuori casa, in cui gli uomini dal punto di vista tecnico o biologico avrebbero ancora un vantaggio rispetto alle donne. Al contrario gli uomini non potrebbero sostituire le donne nella gravidanza e nell’allattamento. Tuttavia le donne non potrebbero dedicare  la stessa energia degli uomini per continuare la propria carriera professionale, perché sarebbero già  gravate dalla maggior parte dei lavori di casa.
E’ indubbio che, nel corso degli ultimi decenni, sul tasso di natalità abbiano inciso negativamente i problemi economici generali dell’Italia. Queste difficoltà hanno anzitutto colpito la generazione dei giovani, svantaggiata nel rigido  mercato del lavoro, in cui sono tutelati i lavoratori già in attività. Questo limita le possibilità di crearsi una propria famiglia in una Italia che, già da molti anni, ha uno dei tassi di occupazione minori nell’UE tra le giovani forze lavoro.
Solo il 35% dei giovani tra i 15 e i 29 anni hanno un impiego, rispetto ad un tasso del 50% nell’UE dei 15. Di particolare interesse è che 2,1 milioni di giovani italiani e italiane – ossia oltre il 20% – né studia, né lavora. La creazione di famiglie numerose è penalizzata anche certamente dal fatto che due terzi dei giovani tra 18 e 34 anni vivono ancora con i genitori, mentre la percentuale in Francia é del 30% o nel Nord Europa addirittura il 20%.


Introduzione dello “jus soli”?
Il basso tasso di natalità rischia di avere gravi conseguenze demografiche. Già dall’inizio dei primi anni ’90, l’Italia, che fino agli anni ’80 era stato un paese di emigrazione, presenta un deficit di nascite. L’Istat ha recentemente previsto che la popolazione rischia di ridursi nei prossimi cinquanta anni di 11.5 milioni di abitanti scendendo a 49 milioni, se la diminuzione non sarà compensata dalla maggiore immigrazione. Con una tale stabilizzazione della popolazione, la percentuale di stranieri senza naturalizzazione aumenterebbe del 7,5 al 23%.
Questa prospettiva ha di recente suscitato continue discussioni circa la possibilità di facilitare la naturalizzazione e l’applicazione anche del concetto di  jus soli, già introdotto anche negli Stati Uniti, secondo il quale tutti i bambini nati in Italia da figli di immigrati acquistano  la cittadinanza. Su questo si è pronunciato nel mese di novembre nientemeno che il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Anche la coalizione di centro-sinistra ha accolto subito la proposta, mentre i rappresentanti della coalizione dell’ex Presidente del Consiglio Berlusconi, dimissionario a novembre, hanno risposto negativamente.

26 aprile, 2012

Cittadini in aiuto dello stato

„Abbiamo bisogno dei cittadini“

Wir brauchen Bürger

di Birgit Schönau
Pubblicato in Germania il 21 aprile 2012
Traduzione di Claudia Marruccelli per ItaliaDallEstero
Lorenzo Ornaghi Ministro dei Beni Culturali
Lorenzo Ornaghi: non è proprio così: il governo ha appena stanziato 76 milioni di euro per nove importanti musei, tra cui il Museo di Brera di Milano, la Galleria dell’Accademia di Venezia e il Museo di Capodimonte a Napoli. Ma naturalmente non possiamo fermarci qui. Data l‘attuale situazione economica, certo non è facile, ma è mia esplicita intenzione coinvolgere direttamente investitori privati​​. Lo stato non è più in grado di gestire tutto da solo.
Zeit: la cultura potrebbe essere il più grande tesoro italiano. Eppure sembra che il suo ministero sia costantemente in emergenza.
Ornaghi: naturalmente non si può negare che esiste una situazione di emergenza, causata da molte ragioni, l’incuria da parte dello Stato è solo una di esse. A volte dobbiamo lottare anche semplicemente contro i fenomeni naturali. Gli scavi di Pompei, per esempio, sono esposti ad ogni tipo di agente atmosferico, forti piogge e caldo estremo. Dobbiamo certamente fare la nostra parte per garantire una corretta manutenzione. Io credo però che per valorizzare i nostri beni culturali ci sia bisogno anche di un cambiamento della nostra mentalità.
Zeit: Cosa intende?
Ornaghi: Già le scuole devono insegnare ai nostri figli che viviamo in un paese con un patrimonio culturale inestimabile, che dobbiamo apprezzare e rispettare, e che va conservato.
Zeit: Al momento sembra che a qualcuno interessi più sfruttare i tesori culturali. A Cerveteri a nord di Roma, pare che i saccheggiatori di tombe etrusche siano più preoccupati di fare in modo che l’UNESCO escluda dal Patrimonio per l’Umanità il sito archeologico, in modo da poter lavorare indisturbati.

Degrado nel sito archeologico di Pompei
Ornaghi: Il reparto speciale dei Carabinieri per la tutela del nostro patrimonio culturale svolge un lavoro egregio quando si tratta di rintracciare e mettere al sicuro gli oggetti d’arte rubati. Ma non abbiamo un numero sufficiente di agenti per mettere al sicuro tutti i nostri siti archeologici. Quando si tratta di tesori d’arte, lo Stato non può sempre agire da solo con un’azione dall’alto verso il basso. Abbiamo bisogno dell’impegno dei cittadini.
Zeit: Ogni ministro della cultura italiana si è misurato in primo luogo con Pompei. I suoi predecessori non hanno potuto fare molto per la conservazione del sito archeologico più famoso del mondo. Lei cosa pensa di fare?
Ornaghi: l’UE ci ha appena concesso105 milioni di euro per Pompei. Useremo questo denaro per prevenire ulteriori danni causati dalle piogge, per rimettere in sicurezza le antiche strade del sito, per restaurare le mura originarie della città e gli affreschi. A fine marzo abbiamo dato inizio ai bandi di gara [per assegnare i lavori]. Se riusciremo ad arginare in maniera permanente i danni causati dal maltempo e a migliorare il sistema di sorveglianza video, saremo in grado di aprire ai visitatori più zone e altri edifici. Non dimentichi che una gran parte dei resti della città non è stata ancora portata alla luce.
Zeit: Molti archeologi ritengono che non si dovrebbe continuare a scavare a Pompei. Ciò che resta sotto è meglio conservato. Lei è d’accordo?
Ornaghi: No, non sono del tutto d’accordo. Ma sono convinto che Pompei, al di là dell’archeologia, possiede anche un valore simbolico, forse anche metaforico. Pompei infatti simboleggia il rischio del momento, la precarietà a cui sono soggette tutte le grandi culture e l’umanità stessa. E’ questo che rende così affascinante per tutti noi questo paesaggio di rovine, creato dall’eruzione del Vesuvio nel 79 dC e che ogni anno richiama due milioni di visitatori.
Zeit: Pompei si trova nel cuore del territorio della camorra napoletana. I camorristi cercheranno di mettere le mani, attraverso i loro intermediari, sui milioni dell’UE?
Ornaghi: Questo governo garantisce la totale trasparenza nell’affidamento degli appalti. Abbiamo nominato proprio per questo un commissario prefettizio. Durante i lavori sarà assicurata la sorveglianza video e saranno garantiti i controlli di polizia.
Zeit: Nella vicina Ercolano, l’azienda americana Hewlett Packard ha investito 16 milioni di euro nella manutenzione degli scavi. Due terzi degli scavi sono stati nuovamente riaperti al pubblico. Prevedete investitori stranieri anche per Pompei?

Fondaco dei Tedeschi a Venezia
Ornaghi: Sarebbero certamente i benvenuti. Ciò che sta avvenendo ad Ercolano, serve da esempio. Ma vogliamo anche attirare aziende e fondazioni italiane nell’ambito della conservazione dei beni culturali.
Zeit: L’imprenditore della moda Diego Della Valle si è dichiarato pronto a donare 25 milioni di euro per il restauro del Colosseo a Roma.
Ornaghi: La cosa mi fa sicuramente molto piacere. Della Valle è un uomo estremamente generoso e con un forte senso civico.
Zeit: Ma c’è un acceso dibattito sul fatto che un imprenditore possa utilizzare il Colosseo come spazio pubblicitario per i propri prodotti. Dobbiamo aspettarci che Della Valle metta ora le sue Tod’s nelle arcate del famoso anfiteatro?
Ornaghi: Assolutamente no. Non se ne è mai parlato. Della Valle potrà solo citare la sua iniziativa nelle pubblicità
Zeit: A Venezia, il Fondaco dei Tedeschi cambierà destinazione d’uso. Lo storico palazzo, un tempo proprietà di una antica famiglia di commercianti tedeschi, si trova in un palazzo del 16° secolo poco lontano da Ponte di Rialto. Per molto tempo ha ospitato l’ufficio postale, nel 2008 lo ha comprato la società di Benetton. Il Fondaco diventerà ora un polo commerciale?
Ornaghi: Il dibattito ruota piuttosto attorno al carattere architettonico. Associazioni intellettuali e culturali sono in primo luogo contrarie al progetto di una terrazza con giardino e una scala mobile nel cortile. Recentemente è stato presentato il progetto alle autorità dei beni arcihitettonici veneziane, alcuni punti particolarmente critici sono stati eliminati. Siamo tutt’ora in attesa del responso di una commissione speciale.
Zeit: per la ristrutturazione la Benetton ha richiesto il famoso architetto olandese Rem Koolhaas, che dice: “La bellezza può essere un concetto, ma è un lusso da far diventare una priorità”. Lei è d’accordo.?
Ornaghi: Vorrei rispondere all’architetto Koolhaas: la bellezza è utile al mondo e forse può anche salvarlo. Perciò la bellezza non è né un lusso né un bene accessorio.
Zeit: L’Italia è una terra che ha dato origine a straordinarie bellezze, è qui che è nata l’opera .
Ornaghi: Mi piace l’opera, anche se non sono un esperto. Come milanese naturalmente amo in particolare andare alla Scala.
Teatro alla Scala a Milano
Zeit: alla Scala le cose vanno relativamente bene. Ma gli amministratori precedenti non hanno avuto particolarmente a cuore l’opera, riducendo i teatri italiani quasi allo sfascio.
Ornaghi: In ogni caso i teatri devono imparare in tempi ristretti a conciliare un alto livello artistico con le scarse risorse. Prometto una riforma complessiva entro dicembre.
Zeit: le ha fatto piacere l’Orso d’Oro al Festival di Berlino per i fratelli Taviani?
Ornaghi: Certo. Un segno che in Europa la creatività italiana è ancora appetibile.
Zeit: Anche se i fratelli Taviani, che hanno più di ottant’anni, non rappresentano esattamente il futuro del cinema italiano?.
Ornaghi: E’ vero che la nostra società non incoraggia a sufficienza i giovani. Parliamo sempre dei giovani, ma non rendiamo loro facile la strada.
Zeit: Lei è stato insegnante di liceo e preside prima di essere nominato Ministro praticamente dal nulla. Ora nei suoi sogni notturni le appaiono le rovine di Pompei o un palco alla Scala? Oppure non fa sogni?
Ornaghi: preferirei la terza opzione. Ma se potessi sognare ad occhi aperti, mi immaginerei che noi europei finalmente ci sentissimo come cittadini della cultura. Solo così riusciremo a uscire dalla nostra situazione di progressiva debolezza. La forza dell’Europa è la sua cultura.

22 aprile, 2012

Brutti ma ... necessari

Italia: brutti ma necessari
Sono corrotti e incompetenti, tuttavia il paese non può fare a meno dei partiti.
di Ulrich Ladurner
Pubblicato in Germania il 14/04/2012
Testata: Die Zeit
Traduzione di Claudia Marruccelli (con la collaborazione di Michele Amorosino)
per Italia Dall'Estero e Il Fatto Quotidiano
Sondaggi sull'intenzione e la preferenza di voto
L’Italia è il più bel paese della terra, ma con i peggiori partiti del mondo – beh, forse può sembrare un’esagerazione, ma persino gli italiani non ne salverebbero nemmeno uno. Solo il quattro per cento dei cittadini italiani, secondo i sondaggi, ha ancora fiducia nei partiti. Questo non stupisce, dal momento che i partiti hanno portato il paese sull’orlo dell’abisso. La dimensione del loro fallimento appare davvero evidente da quando in Italia è diventato primo ministro Mario Monti, non legato ad alcun partito. L’attuale capo del Governo gode di indici di gradimento di oltre il 60 per cento, nonostante le sue dolorosissime riforme. Gli italiani sono chiaramente disposti a lasciarsi torturare da quest’uomo senza lamentarsi più di tanto, mentre attualmente solo la parola “partito” fa gridare. A causa dei partiti, gli italiani hanno davvero sofferto a lungo, hanno conosciuto il loro egoismo, la loro avidità, la loro corruzione e la loro incompetenza. Solo una risicata maggioranza (52 per cento) ritiene ora, che “ la democrazia possa funzionare senza partiti”. Dunque, perché aspettare? Basta con questi partiti spazzatura della storia! Evviva i tecnocrati come Monti! Hip Hip Hurrà all’eminenza grigia!

Sembra facile – terribilmente allettante. Perciò a questo punto occorre prendere le difese dei disastrosi partiti italiani. Cominciamo con uno dei più orribili, con la Lega Nord. Il suo capo Umberto Bossi ha appena rassegnato le dimissioni perché persone della sua stretta cerchia si sono riempiti le tasche di denaro. Proprio la Lega che si è sempre comportata come un’associazione di “Mastrolindi” e che contro i partiti corrotti di Roma imprecava “Roma ladrona!”, un popolare grido di battaglia di Bossi. Ora però ha i ladri in casa propria. Inoltre, bisogna aggiungere che la Lega Nord è razzista, volgare, meschina, populista, islamofoba. Quindi non c’è nulla di difendibile, tranne una cosa: che si tratta di un partito. Una libera associazione di persone che entra in politica per cambiare le cose. La Lega ha portato nell’arena della politica la gente comune che non si sentiva rappresentata. Quando entrarono in scena, i leghisti sbraitavano, brontolavano, maledicevano e inveivano come degli ossessi – tutto molto poco attraente. Ma erano lì, visibili, con una sola richiesta: Vogliamo dire la nostra! Il loro mezzo per ottenere questo era il partito. Sarebbe stato meglio il silenzio aggressivo di centinaia di migliaia di persone, il barricarsi risentiti nella sfera privata o la protesta per le strade?
Pioggia di soldi sui partiti

Anche l’indicibile Silvio Berlusconi ha condotto o mantenuto milioni di persone in politica. Certo, Berlusconi ha fatto finta di fare politica, mentre si arricchiva e trasformava Roma in un bordello. Il suo partito si chiama Popolo della Libertà, che voleva, a prescindere da tutte le leggi e le consuetudini. Anche in questo partito non c’è niente di buono, tranne il fatto che la gente si è messa assieme per condividere le proprie idee e curare i propri interessi. Questo non è sempre bello, a volte persino ripugnante, e può essere pericoloso e diventare una minaccia per la democrazia – ma quali sono le alternative? Una figura di spicco come Mario Monti. Ma il “Montismo”, cioè la convinzione che senza partiti e senza dover essere eletti dal popolo, si possa agire per il meglio per questo stesso popolo, è solo un’illusione. Monti stesso lo sa, e ripete costantemente che la sua permanenza è solo temporanea, che resterà fin quando avrà sbrogliato la matassa. Dopo di che torneranno i partiti. Cioè, ci saranno di nuovo gli italiani. Monti può essere considerato solo un momento di transizione, perché la democrazia ha bisogno dell’alternanza di potere, se vuole rimanere democrazia.

Del resto i partiti non arrivano dal nulla. Essi sono nel bene e nel male lo specchio dei cittadini che operano al loro interno. Certo la grande e colta Italia avrebbe potuto rinunciare alla Lega Nord, e a Berlusconi, ma non lo ha fatto. Cancellare tutte le brutture dei partiti è un processo faticoso, che deve coinvolgere molti ingranaggi. Un dibattito pacifico, istituzioni forti, risveglio del senso civico – queste sono le forze che potrebbero mitigare la minaccia ai partiti. Milano lo ha già fatto recentemente con i comitati civici che hanno reso possibile l’elezione di un sindaco riformista. Questi comitati non si considerano un sostituto dei partiti politici, piuttosto servono loro da stimolo, come una spina nel fianco. Il compito è la riforma dei partiti, non la loro abolizione, infatti questo sarebbe l’inizio della distruzione della democrazia rappresentativa.



17 aprile, 2012

Italia e Austria a confronto

Cosa accomuna l’Italia con l’Austria

L’Austria e il suo panorama politico per molti versi assomigliano all’Italia dei primi anni ’90, eppure, purtroppo e/o per fortuna, sono profondamente diverse.

La voglia di declino in questi mesi è costantemente presente.Come se lo spettatore, considerando lo stato d’animo catastrofico del barcollante mercato finanziario, si stesse riprendendo in un costoso centro di recupero grazie a una terapia intensiva a base di farmaci. E l’Occidente di oggi sprofonda un’altra volta. Recentemente si sente parlare di una novità: l’Austria, stando ad un rapido e superficiale confronto, assomiglierebbe all’Italia dei primi anni ’90.

All’epoca la Democrazia Cristiana, assieme al fino ad allora noto sistema partitico , basato su un leader di partito ed un tesoriere, affondò come il Titanic quasi cento anni prima. La conseguenza fu la frammentazione dei partiti, piccoli e nuovi movimenti ebbero la loro occasione per farsi avanti. Contro il fango della corruzione, della congiura e delle relative teorie, entrò in scena un gruppo di magistrati noto come “Mani pulite”, nome più accattivante dal punto di vista mediatico e allo stesso tempo vantaggioso, ma che tuttavia non riuscì a fare molto di più che spianare la strada ad un Silvio Berlusconi.


In Austria si sta delineando uno scenario spaventoso simile a quello di allora. A causa dello scandalo delle postazioni selfservice della Telecom, l’ÖVP sta precipitando definitivamente e il SPÖ lo seguirà presto, a causa delle sue carriere basate sulle raccomandazioni o di altre cattive abitudini da tempo tollerate in silenzio – basti pensare al gigante mediatico della SPÖ di Vienna. Ci sarebbe ancora un ulteriore parallelismo con l’Italia: circa una dozzina di partitucoli insignificanti che fremono sui blocchi di partenza. Anche se le loro possibilità di entrare a far parte della Camera Bassa sono limitate. Per fare un confronto con la situazione italiana made in Austria basta e avanza.
Suddivisione e tendenze dei partiti al governo in Austria
Solo che, anche se la situazione è simile nella gravità, si tratta di ben altro e questo è sia un bene che un male.
Ma mettere a confronto la Democrazia Cristiana con l’ÖVP non è appropriato. A differenza del fango romano, la casta politica del Partito Popolare – ad eccezione probabilmente di Ernst Strasser – non tenta di costruire ville in Nordafrica o altrove, arricchendosi personalmente e garantendosi una vita fatta di agi e mondanità. Hanno voluto invece, tramite goffi e sfacciati finanziamenti ai partiti, attraverso aziende parastatali, fornire al partito e ai loro deboli alleati testate giornalistiche di partito, che nessuno legge, ma che procureranno ai funzionari quella importanza che hanno perso da tempo. Il problema dell’ÖVP è quindi quello di restare al governo ad ogni costo anche in assenza di un futuro politico. Gli elettori questo lo percepiscono e si allontanano dal partito.
Sondaggio sulla futura formazione partitica governativa in Austria: il 46% della popolazione spera nell'ascesa di un nuovo partito, il 22% voterebbe il partito dei Pirati, il 21% eleggerebbe Stronach, il 52% è assolutamente contrario
Poi c’è l’assenza di un Di Pietro, quel magistrato che in Italia ha a cuore la caccia agli scandali. Peter Pilz si considera un eroe di questo tipo, ma i tribunali non danno credito ad un megalomane. D’altronde, forse per fortuna, non c’è in all’orizzonte un Silvio Berlusconi. Anche Eva Dichand, che gode di molta fiducia grazie alla sua rivista “Heute” e ai suoi agganci con “Kronen Zeitung”, si spera che non fondi un partito. I suoi amici nella SPÖ non glielo consentirebbero.

Attuale situazione dei partiti politici in Austria e i loro rappresentanti
Quindi manca un qualsiasi tipo di purificazione che, vedi l’Italia, anche se non sarebbe una garanzia di miglioramento, ogni elettore in Austria desidera apertamente o in cuor suo. L’idea che Werner Faymann e Michael Spindelegger possano continuare a governare dopo le prossime elezioni, anche se improbabile, fa giustamente rabbrividire anche i dirigenti della SPÖ e ÖVP.

Manifesto elettorale del BZÖ: L'Austria agli ausriaci con il tuo aiuto. Vota lista di Jörg Haider
Restano i nuovi avventurieri partitici, che forse ce la faranno ad entrare al governo e a superare la barriera del 4 percento: nella situazione attuale bisogna fare tanto di cappello a chi riuscirà a farsi carico di questo sforzo immane e del suo superamento. E poco importa che si tratti di specialisti informatici completamente a digiuno di politica che saltano fuori con lo pesudonimo di “Pirati”. O che si tratti di vecchi politici come Johannes Voggenhuber e Erhard Busek, che hanno fallito nel proprio partito, oppure del tentativo del magnate desideroso di gloria Frank Stronach di unire i liberali con ciò che resta del BZÖ, partito che in questo paese non è ancora riuscito a prendere piede. Essi obbligano la SPÖ e l’ÖVP a reagire in qualche modo, costando in termini di accordi forse persino tutta la maggioranza. Ben venga tutto ciò che può portare a un vero cambiamento.

15 aprile, 2012

Tramonto di un uomo che parlava ... di odio.

Abgang eines Hasspredigers 

Dimissioni di un uomo che predica odio


Testata: Taz
Data di pubblicazione :06/04/2012
Traduzione di Claudia Marruccelli per italiadallestero.info e Il Fatto Quotidiano
Articolo originale di: Michael Braun


Bossi se ne va, la Lega Nord purtroppo resta
Umberto Bossi e Silvio Berlusconi
Umberto Bossi è stato negli ultimi anni segnato in maniera evidente dalla malattia e dall'età, ciò nonostante è sempre stato in grado di alzare il dito medio durante i raduni. Un dito medio, rivolto principalmente alla "vecchia" politica, contro la quale il politico aveva strutturato la sua ascesa e il successo della Lega Nord. In Italia è stata indimenticabile la gioia maligna che Bossi 20 anni fa riversò sul regime corrotto della Prima Repubblica formato dalla Democrazia Cristiana e dai Socialisti. Inoltre, è stato a fianco di Berlusconi, uno dei principali protagonisti della Seconda Repubblica.

Manifesto di propaganda xenofoba della Lega Nord


Ora però è evidente che anche il partner minore della coppia della destra populista si allinea ai predecessori che ha così tanto biasimato. La stessa Lega Nord, che si è comportata come un’associazione di inflessibili bacchettoni, ha - così si legge nelle indagini dei procuratori - considerato lo Stato come un self-service. Ancora peggio di come avveniva tempo fa, nel partito di Bossi si sono instaurate abitudini feudali, la moglie, i figli, oltre che gli incoscienti consiglieri, hanno influenzato i destini del partito, e persino del paese.

Peggio ancora: durante il governo della Lega e del suo alleato Berlusconi si sono oltrepassati limiti che altrove in Europa resistono ancora. Gli insulti pubblici, spesso volgari, rivolti all’opposizione politica, le oscene offese rivolte a interi gruppi di persone come gli immigrati o i gay e le lesbiche - sono diventati anch’essi socialmente accettati, soprattutto grazie alla Bossi.

E socialmente accettata è diventata così un’azione di governo che alimentata dai populisti di destra ha causato un acceso risentimento verso la politica spicciola.

Manifesto do propaganda  xenofoba della Lega Nord
Che Bossi ora se ne vada e che sia coperto di derisione e di vergogna e che debba abbandonare la sua poltrona, questa è una buona notizia, ma una notizia migliore, sarebbe che la Lega Nord venisse finalmente isolata nella politica italiana - e non solo per certe imbarazzanti vicende a favore del figlio del dittatore, alla stregua di Kim II Sung, ma per l'orientamento fascistoide di questo partito del "sano sentimento popolare" che ha diffuso, in seno alla politica italiana, l'odio sociale nei confronti degli "stranieri" e dei "diversi" basato su teorie pseudo evoluzionistiche.

Umberto Bossi con il figlio Renzo detto il "Trota" (die Forelle)

13 aprile, 2012

La truffa del made in Italy

Der Schwindel mit italienischer Nahrung

La truffa dei cibi Made in Italy

di Paul Kreiner
Pubblicato in Germania il 02.04.2012
Traduzione di Claudia Marruccelli per Italia Dall'Estero
Pubblicata anche su Reset Radio
                                   


Roma - Il governo italiano ha venduto la sua quota di partecipazione ad un colosso lattiero-caseario rumeno una notizia che non sembra proprio esaltante, dietro alla quale, si nasconde un affare da un miliardo di dollari e una truffa al consumatore a livello internazionale, che quotidianamente miete vittime anche tra i clienti dei supermercati tedeschi. Infatti Lactitalia - così si chiama la società che si trova a Timisoara - produce latticini utilizzando nomi di origine italiana come "Dolce Vita", "Toscanella" o "pecorino". Di fatto questi prodotti non hanno assolutamente niente a che fare con l’Italia: il latte viene dalla Romania e dall’Ungheria. Il caseificio, denuncia con veemenza la Coldiretti italiana, sfrutta illegalmente i colori della bandiera italiana. Lo Stato italiano, a cui apparteneva tramite la Banca Export Simest il dodici per cento di azioni di Lactitalia, è complice in questa falsità anche perché lavorare in Romania  ormai può essere più conveniente che in Italia, si tratta quindi di concorrenza sleale a danno dei produttori nazionali.

I contadini italiani hanno potuto almeno per una volta intervenire contro Lactitalia, dato che sono impotenti contro il resto della  molto più redditizia truffa internazionale delle etichette. I nomi italiani sono più attraenti perché sono di moda, per lo stile di vita, per le vacanze e forse la sana "dieta mediterranea", i produttori di generi alimentari vendono i loro prodotti in tutto il mondo sempre più sotto nomi italiani.
Per farli sembrare più convincenti, stampano molte delle loro confezioni con parole italiane e nomi più o meno fantasiosi ("Condimento Aceto Balsamico"), mantenendo il tricolore della bandiera nazionale, ed ecco che nessuno si accorge che, il formaggio affettato Monteverdi arriva dai dintorni di Monaco di Baviera ed il cliente del discount acquista la mozzarella Lovilio che non arriva da uno sperduto paesino del sud, ma dalla Foresta Bavarese accanto.

Le associazioni  italiane dei coltivatori sono in subbuglio

Le associazioni degli agricoltori italiani sono in subbuglio non solo contro i falsari internazionali, ma anche contro gli "Agro-pirati" nelle proprie industrie agroalimentari  e contro una legge europea che fa passare per legale qualsiasi tipo di camuffamento. Si prenda per esempio, la vicenda della passata di pomodoro. Si tratta di una delle insostituibili materie prime della cucina italiana - però l’ingrediente base oggi matura  in gran parte sotto il sole cinese. A seguito del'ultimo allarme che ha attraversato il paese, l’ associazione industriale dei produttori si è affrettata ad assicurare, che i prodotti cinesi non sono assolutamente commercializzati in Italia, ma vengono esportati  in altri paesi.

"In Asia e in Africa", ha aggiunto il portavoce dell'organizzazione - ma ha anche detto che la Germania, è considerata al sicuro, paese in cui in fondo, c’è il più alto numero di acquirenti di prodotti italiani. 153 358 tonnellate di conserva di pomodori importate dall’ Italia nel 2010, di cui 121 000 tonnellate provenienti dalla Cina, tre quarti dei quali sono state ulteriormente destinate fin dall'inizio all'esportazione. E’ sufficiente in questi casi - secondo la legislazione dell'Unione Europea - solo "un ultimo passo sostanziale nella trasformazione", e il prodotto può essere messo in vendita come italiano: riempire un container di lattine di prodotti alimentari basta per essere a posto con la legge.
Quanto all’olio d’oliva la situazione è simile. Quattro bottiglie su cinque  non contengono l’ "italiano" extra vergine, l’etichetta e il nome di fantasia lo promettono ma di fatto si tratta di un miscuglio di oli provenienti da tutto il mondo, in particolare dalla Spagna e Tunisia. Lo ha scoperto la associazione Coldiretti, che, anche se obbligatorio dal 2009, è possibile rintracciare le indicazioni geografiche di provenienza sulle bottiglie semmai "solo con il microscopio” .

L’Italia, il più grande esportatore mondiale di olio di oliva, non produce sul suo territorio nemmeno la quantità che consuma. La produzione è stata nel 2011 di 483 000 tonnellate; nello stesso anno il paese ha esportato 364 000 tonnellate. In Tunisia, dicono gli esperti, si può produrre un chilo di olio per 10 centesimi, in Italia, il costo si aggira tra i quattro e i cinque euro. Ecco spiegato perchè la maggior parte dei produttori spagnoli hanno acquistato diversi marchi italiani di fama. Perché l'olio d'oliva, venduto sotto il nome spagnolo ai clienti finali, permette di offrire prezzi  molto più bassi di quello "italiano".

La vittoria nel caso Lactitalia è solo un successo momentaneo

Nella sua relazione sull’ "Agro Mafia", l’Istituto di ricerca Eurispes parla di un paradosso: da un lato, l'Italia ha registrato in Europa,  molti marchi di qualità a "denominazione di origine protetta" e ad "indicazione geografica protetta", più di ogni altro paese - tre volte come la Repubblica Federale - e dall'altro, la stessa Italia si dà molto da fare nell’occultare la vera provenienza dei prodotti di largo consumo.
Secondo l'Eurispes tre su quattro cosce di maiale, che poi vengono vendute come il prelibato "prosciutto crudo, made in Italy", provengono dall’estero, il 91 per cento delle quali dal Cile, a Modena roccaforte del prosciutto questa settimana, sono state confiscate 90 000 cosce di maiale per mancanza di certificazione e danni alla salute.

La pasta "italiana" è prodotta in gran parte con grano duro proveniente dall’America (dal Canada, Messico, USA), e persino nelle mozzarelle prodotte in Italia, i due terzi del latte (68 per cento) provengono da Francia, Germania o Austria, senza che i clienti lo sappiano. Ma perché preoccuparsi? L'industria alimentare italiana è in crescita con buoni profitti, mentre il resto del paese è caduto in recessione. Le uniche persone del settore che stanno soffrendo sono gli agricoltori che non riescono a resistere a questo tipo di concorrenza.

La vittoria nella vicenda Lactitalia è solo un successo momentaneo, il che significa che di fatto non ha nessun significato. Alla fine: la Lactitalia rumena, che colpisce al fianco la produzione italiana con la sua concorrenza sleale - resta comunque italiana.               

Sbarazzarsi del Berlusconismo

Sbarazzarsi del Berlusconismo
Berlusconismus abschütteln


Secondo recenti sondaggi meno del dieci per cento degli italiani ritiene affidabili i partiti politici in Italia, che siano di destra o di sinistra l’opinione pubblica francamente li detesta. Gli intellettuali italiani vogliono ora dare un nuovo volto alla politica.
Questo paese ha bisogno di eroi

Intellettuali in piazza con il PD

Quando Roberto Saviano si presenta in pubblico, viene accolto, come è successo lunedì sera a Milano, con un applauso. Lo scrittore, minacciato di morte dalla camorra, rappresenta come nessun altro, quell’Italia pulita e integerrima, che lontano dai sotterfugi dei partiti sta cercando una dignità politica. Si sta battendo affinché venga varata una nuova legge anti-corruzione, che tra l’altro, allunghi i termini di prescrizione, introdotti durante il governo di Berlusconi, e che inasprisca le pene. Una nuova Italia, così ha detto Saviano nell’affollato Teatro Smeraldo, può prendere vita solo dalla lotta costante contro la corruzione e la mafia.
Roberto Saviano è intervenuto a Milano invitato dell’associazione “Libertà e Giustizia” (LeG), fondata dieci anni fa da intellettuali come il fisico Giovanni Bachelet, l’architetto Gae Aulenti, o gli scrittori Umberto Eco e Claudio Magris, per “arricchire culturalmente la politica nazionale.” Si è voluto “creare quel collegamento finora mancante tra i movimenti della società e la sfera politica ufficiale”, come si legge nella Dichiarazione dei Principi, adottata in una riunione nel novembre 2002 presso il Teatro Piccolo.


Da allora LeG è stata parte integrante di varie iniziative come la difesa della Costituzione nei dibattiti pubblici. In tutto il paese oggi sono attive circa 40 sedi, che hanno lo scopo di destare la coscienza politica attraverso seminari, laboratori di pensiero e gruppi di riflessione, senza essere tuttavia vincolate ad alcun partito politico.
Presso il Teatro Smeraldo ora è stato esposto un manifesto della LeG che con il titolo “Dissociarsi per riconciliarci – Dipende da noi” intende promuovere una nuova politicizzazione della società italiana, una riforma dei partiti e un rapporto disteso tra società civile e politica che in internet in pochi giorni ha già raccolto l’appoggio di più di 35 000 persone.

Una particolare atmosfera caratterizza la cultura politica italiana nelle ultime settimane. Mentre il governo di Mario Monti, formato da tecnici slegati dai partiti politici, ha continuato il suo lavoro impegnato soprattutto in questioni economiche, i partiti delle varie fazioni, che di fatto sostengono il governo in parlamento in una sorta di grande coalizione, li stanno tenendo d’occhio con un pizzico di invidia. Il PDL di Berlusconi e il Partito Democratico con uno sguardo alle elezioni amministrative di primavera, attendono i rispettivi errori per poterli sfruttare a fini propagandistici. Mancano iniziative autonome, ci si comporta piuttosto in maniera distruttiva. Il PDL, per ovvi motivi, vuole rimandare il più possibile la creazione di una legge anti-corruzione.


Al momento l’opinione pubblica considera i partiti disgustosi. Varie indagini demoscopiche dimostrano che solo una percentuale, che oscilla tra il quattro e l’’otto per cento dei cittadini, si fida dei partiti. Mario Monti ha concesso al paese un attimo di respiro. Ma come è possibile andare avanti, se al più tardi l’anno prossimo, dopo la fine della legislatura, ci saranno nuove elezioni? Con questi partiti, che siano essi da destra o di sinistra, si riesce a mala pena a fare uno stato.

“Decontaminazione dei partiti”
Ad un governo di tecnici, è scritto nel manifesto della LeG, attualmente non esiste alternativa. E’ una “medicina” contro la debolezza della politica, ma come ogni medicina, potrebbe – se presa per lunghi periodi – diventare un “veleno mortale”. Le decisioni tecniche avrebbero in ultima analisi conseguenze politiche.
L’ex presidente della Corte Costituzionale Gustavo Zagrebelsky, che ha redatto il manifesto, ha chiesto, quindi un rinnovamento di base della politica “nel nostro stanco paese.” Si deve partire dalla “decontaminazione” dei partiti, o come Umberto Eco ha detto: Se i partiti si sono presi una pausa, ora dovrebbero ritornare “ripuliti e rivolti ai cittadini”.

Manifestazione di Liberta' e Giustizia a Milano – Giuliano Pisapia – Concita De Gregorio – Sandra Bonsanti – Gustavo Zagrebelsky

Pertanto LeG si esprime a favore di una nuova legge elettorale, che dia solide regole democratiche alla vita interna dei partiti, e per il finanziamento trasparente dei partiti politici. E necessario, dice anche Roberto Saviano, scrollarsi di dosso l’eredità di Berlusconi, attraverso la quale non solo è stata tollerata l’illegalità in ambito pubblico, ma è stata persino promossa. Un modo per trovare dei candidati sono le primarie svolte democraticamente, come ha tentato di fare il centro sinistra. In città come Cagliari e Milano i candidati sindaci si sono imposti sui candidati dei vertici dei partiti, vincendo alla fine le elezioni. Lo stesso sta accadendo a Genova.

E’ possibile che proprio le città che da sempre hanno rappresentato la spina dorsale del paese possano avviare dal basso il cambiamento politico? Il sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, ha messo in guardia. durante la manifestazione al Teatro Smeraldo, contro un possibile ritorno di Silvio Berlusconi. Questi non avrebbe ancora rinunciato, ma starebbe lavorando al suo “Rientro”, contando sulla solita memoria corta degli italiani.

12 aprile, 2012

Pompei ... commissariata.

Ein Polizeichef überwacht die Rettung von Pompeji

Un commissario di polizia per salvare Pompei

di Eva Clausen
Pubblicato in Austria il 03.04.2012
Traduzione di Claudia Marruccelli per Italia Dall'Estero

Panorama di Pompei con il Vesuvio

Pronto il finanziamento di 105 milioni di euro per i lavori di risanamento del sito archologico alle falde del Vesuvio

La Commissione europea ha autorizzato la scorsa settimana i finanziamenti promessi dal Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR) per il restauro di Pompei. Per il salvataggio degli scavi archeologici, dichiarati dall'Unesco Patrimonio dell'Umanità, saranno erogati 105 milioni di euro di cui 42 milioni provengono dai fondi comunitari e 63 milioni dalle casse dello stato italiano. In tal modo è stato eliminato solo il primo ostacolo. Per la resurrezione della "città morta" alle falde del Vesuvio probabilmente però si dovrà aspettare un po' più a lungo.

La notizia proveniente da Bruxelles è stata accolta con grande gioia in tutta Italia. L’entusiasmo è stato tale che la maggior parte dei media ha dimenticato di spiegare che si tratta di soldi provenienti dal fondo di sviluppo e dal bilancio nazionale. I titoli dei giornali parlavano di 105 milioni di finanziamenti UE, cosa che dimostra una certa superficialità e imprecisione nell’affrontare i numeri. E’ proprio questo che getta un'ombra sulla capacità dell’Italia di gestire il denaro correttamente e senza farlo sprofondare nella palude della corruzione. Solo una dimenticanza: il commissario europeo Johannes Hahn ha parlato di un monitoraggio continuo da parte dell'Unione europea sull'impiego delle somme concesse.

Sembra che anche il paese non si fidi molto delle proprie istituzioni, come il locale ente per i beni architettonici. Perché la buona notizia è stata accompagnata da una notizia meno felice. Con i soldi, arriverà a Pompei un commissario della polizia. La sua nomina è avvenuta il 5 aprile, quando sono stati sbloccate le prime cinque grosse tranche del piano di salvataggio.

Sopralluogo delle autorità giudiziarie a Pompei

La criminalità organizzata

Alla cerimonia hanno partecipato anche tre ministri, il ministro dei beni culturali Lorenzo Ornaghi e il ministro per la coesione territoriale Fabrizio Barca a cui si è unita il ministro per gli Affari interni Anna Maria Cancellieri, supportata dal commissario Fernando Guida, che ha avuto finora il compito del commissariamento dell’amministrazione comunale sospettata di collusione con la criminalità organizzata. Guida è quindi l'uomo giusto al posto giusto, poichè proprio lo stato infatti teme che la mafia possa tentare di aggiudicarsi la più grossa fetta della torta nelle gare degli appalti pubblici.

Tutto a posto così allora? Non necessariamente. Poichè, chi è stato un po’ tagliato fuori, è la sovrintendenza ai beni architettonici, proprio perché in passato ha chiuso un occhio. Con il controllo di un commissario, il ministro della cultura, il cui soprannome professore Pilato gli rendere ogni onore, se ne lava le mani essendo ora responsabile dei lavori il Ministero degli Interni. Al prossimo crollo a Pompei, almeno non ci sarà il rischio di essere sbalzato dalla poltrona come è successo all’ex-ministro Sandro Bondi che ci ha rimesso il posto.

La casa dei Gladiatori crollata

Ma non sarebbe stato più sensato fare pulizia all’interno dell ministero della cultura? E operare un risanamento nell’ente dei beni architettonici prima di passare a Pompei, piuttosto che affidare ad un commissario il monitoraggio del piano di salvataggio? Al più tardi dopo il "pronto soccorso" e le misure di primo intervento, il commissario potrebbe essere accusato di mancanza della necessaria competenza tecnica, dato che gli interventi di importanza vitale non consistono soltanto in travi portanti e sistema di drenaggio, ma anche nel controllo sistematico della situazione, nella conservazione del sito e nell’aggiornamento del personale, che d’altra parte è dipendente dei beni architettonici. Il meccanismo di controllo, in cui il Ministero della Cultura si è affrettato a minimizzare l’importanza del ruolo del commissario, può forse garantire la legalità e l’ordine, ma non può impedire nuove potenziali precipitazioni.

Sono trascorsi 17 mesi dal crollo della casa dei gladiatori. Pompei continua a sgretolarsi e non è successo niente. Quanto tempo le rimane? Fortunatamente, il sindaco Claudio D'Alessio ha pronta una soluzione: fuori da sito del Patrimonio Mondiale dell'Umanità verrà costruito un moderno centro di accoglienza con mura che sembreranno vere e che avranno il vantaggio, di non crollare. Al costo dei lavori (15 milioni di euro) si sono offerte di partecipare alcune aziende private. Probabilmente nascerà una finta Pompei prima che quella vera e propria risorga.
Previsioni di recupero dell'area archeologica di Pompei